Da almeno tre anni a questa parte, infatti, il potere delle storie e del loro racconto seduce i brand, ispira i copywriter e veicola le preferenze d’acquisto degli utenti.
Lo sanno bene i Social Network, piattaforme che da sempre si occupano di implementare il meccanismo di self branding e racconto personale.
La fine del 2015 ha portato con sé l’esplosione di Snapchat: dapprima esclusivamente tra i giovanissimi (18/24), per poi ampliare il proprio raggio attrattivo a macchia d’olio tra i millennials e portandolo a superare i 100 milioni di utenti attivi al giorno. A partire dal suo aggiornamento di allora l’applicazione, fondata da Bobby Murphy e Evan Spiegel, concesse l’utilizzo di tre funzionalità: LENSES, LIVE STORIES e DISCOVER.
Apporta i famosi filtri ai selfie, trasformandoci in gattini, frutta e verdura.
Una sorta di Newsfeed composta di notizie e contenuti selezionati.
Canali prodotti per la maggior parte da noti brand e testate giornalistiche (Cosmopolitan, National Geographic, Buzzfeed per citarne alcuni).
All’epoca si iniziò a identificare Facebook, il social network più famoso, come un social divenuto (troppo?) rigido. Ormai fortemente occupato dai brand, guardando a Snapchat come a una piattaforma più volatile, disinvolta, alla mano e proprio per questo più amata dai giovani.
Dopo aver a lungo corteggiato i suoi fondatori, puntando all’acquisizione, i social controllati da Mark Zuckerberg nell’estate del 2016 iniziano a prendere ispirazione da Snapchat per migliorare l’esperienza interattiva degli utenti.
Così, una mattina di fine Luglio scorso, i 600 milioni di utenti attivi su Instagram si svegliano con una novità.
L’interfaccia dell’applicazione aggiornata e la rivoluzione delle stories dentro piccole icone tonde e cliccabili.
Alcune piccole specifiche che le hanno rese uniche, nonché segnato una svolta considerevole: l’impossibilità di un commento pubblico e l’elenco visualizzazioni consultabile.
Scegliendo di rendere il post non commentabile pubblicamente, bensì mandando un messaggio, succedono due cose: non rimane traccia evidente di un commento ma si stimola la comunicazione diretta.
In un contesto di conversazione privata, infatti, è più facile per gli utenti coinvolti iniziare un dialogo.
Senza contare che ogni utente può decidere autonomamente di rendere visibili o meno i propri contenuti in modo più o meno mirato.
Pubblicando una storia ho accesso alla lista di persone che l’hanno guardata.
Cliccando sulla X posta accanto al nome dell’utente cui voglio oscurarla, posso impedirgli di vedere non solo quel contenuto ma anche tutte le storie che pubblicherò.
Questa possibilità ci porta al secondo importante punto della nostra riflessione.
Una delle ragioni in forza delle quali siamo così tanto Stories Addicted è la narcisistica curiosità, ora soddisfatta, di sapere chi ci guarda e questo è un enorme plus.
La funzione delle dirette, poi, ha fornito un aspetto ancora più live al tutto.
Funzionalità affini, per non dire pedisseque, vengono replicate a partire dal Febbraio scorso anche su Facebook.
Quasi due miliardi di utenti attivi possono ora condividere i frammenti della propria giornata edulcorati con filtri e stickers.
Per questa ragione il social network ha dovuto rivedere la funzionalità storie studiandola in modo tale da “colmare” uno spazio che altrimenti sarebbe vuoto: quello dedicato appunto alle storie degli amici.
Gli utenti vedranno le icone dei contatti con cui interagiscono di più visualizzate in trasparenza, un trucchetto per dare l’impressione che gli amici stiano in verità utilizzando le storie. Vedremo se funzionerà.
Di certo non potevano mancare le Whatsapp stories, anch’esse concepite allo stesso modo di quelle già menzionate… Ne siamo convinti? Anche in questo caso non sembra che le suddette stiano riscuotendo grande successo.
Per ora il detto pare ancora valido, anche nel contesto digitale.
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